IL FILO ROSSO CHE INTRECCIA GLI ORATORI

paolo_storti_blogBLOG di Paolo STORTI – 03.11.2016

Carissimi,

sgombro subito il campo da possibili maldicenze e pettegolezzi: Veronica, della quale più sotto troverete una mia intervista, non è una mia amica di vecchia data nè io in qualche modo trarrò vantaggio da quello che scriverò in questa introduzione. Dico questo perché nonostante io, Veronica, l’abbia incontrata tre volte nella mia vita, nutro verso di lei, il suo modo di fare, la sua preparazione e la sua passione per quello che fa, una profonda stima e ammirazione che forse sì, da un lato vorrei che fosse mia amica da sempre, e dall’altro tutto questo “giro di valzer” potrebbe sembrare un grande spot pubblicitario, con ricca percentuale per me, ma non è così.

Ho conosciuto Veronica grazie al corso di perfezionamento in “Progettazione, Gestione e Coordinamento d’Oratorio” all’Università di Perugia e da subito mi sono interessato a quel che lei propone. Lei è riuscita nella grande impresa di unire oratorio, passione e lavoro e lo fa davvero molto bene, perché in ogni attività che propone c’è il sogno, la forza e la professionalità di chi con impegno si mette a disposizioni degli altri per trasmettere loro il bene e il bello che c’è al mondo, dunque fare tutto ciò è possibile!

Ma è ora che Veronica ci parli di lei e del suo ARTORATORIO:

1. Ciao Veronica raccontaci un po’ di te … (città, età, studi, esperienze lavorative, sogni)

Innanzitutto grazie Paolo! La stima e l’affetto che rivolgi a me e ad ArtOratorio ogni volta mi commuovono! Ovviamente sia io che ArtOratorio ti siamo profondamente grati e ricambiamo tutto ciò che provi per noi. Esserci incontrati lo riteniamo veramente un grande dono! Probabilmente chi ci legge starà pensando che io abbia una crisi d’identità, ma non è così: la differenza fra Veronica e ArtOratorio è una linea sottile, ma netta. Iniziamo da Veronica: sono nata a Roma il 5 Aprile del 1986, ma dal 7 Ottobre mi sono trasferita a Perugia. Parto dalle date perché con le persone funziona come per le opere d’arte: i dati devono essere uno strumento di partenza, non il fine! Un’altra data decisamente importante nella mia vita è il 2003: a Settembre inizio il mio ultimo anno di liceo classico e dichiaro, anche se lo sapevo io da sempre, e lo sapevano da sempre gli altri, che “da grande” mi sarei voluta laureare in storia dell’arte. L’ultima settimana di Agosto parto, invece, senza sapere a cosa andavo incontro, per quella che sarebbe stata la settimana che avrei aspettato tutto l’anno, tutti gli anni, e la settimana che mi da la carica per tutto l’anno: il mio primo convegno (oggi campus) Cor, una settimana di formazione per i ragazzi dai 13 anni in su organizzata dal Centro Oratori Romani. L’unica esperienza oratoriana che avevo era un centro estivo fatto quell’estate stessa nella mia parrocchia di origine, San Pancrazio. Racconto sempre che scesa dal pullman ci accolsero tutti con un cerchio di bans: ecco, io quell’ Agosto non sono entrata solo in un cerchio della gioia, ma in una cosa molto più grande di me, avevo trovato una famiglia. Nel 2003, a 17 anni, dico quindi a me stessa che “da grande” avrei voluto fare la storica dell’arte e l’animatrice in oratorio. Il 2 Novembre del 2008 pronuncio per la prima volta la promessa da socia effettiva del Centro Oratori Romani, il 2 Dicembre del 2008 mi laureo. Ho sempre avuto una grande difficoltà di radicarmi: sono inquieta e sempre in ricerca. Di oratori a Roma ne ho cambiati tanti: San Giuseppe Cafasso, Santi Antonio e Annibale Maria, San Pio V, Nostra Signora di Coromoto e gli oratori estivi a Sant’Achille, Santa Croce in Gerusalemme e Nostra Signora di Guadalupe. Ricordo con emozione ciascuna di queste comunità, ognuna mi ha dato qualcosa di diverso, ma mi hanno tutte dato tanto. Per la stessa curiosità e inquietudine, dopo la triennale, decido di conseguire la laurea specialistica a Viterbo, dove c’era un’università specializzata in conservazione dei beni culturali: questa cosa di conservare la bellezza e fare memoria è sempre stata una mia fissazione. Contemporaneamente cresco nella comunità del Centro Oratori e scopro la mia vocazione, nella vocazione oratorio: l’animazione.

Mi piace sempre ripeterlo: la storia dell’arte l’ho scelta, l’animazione ha scelto me, così come Perugia. Più o meno dal 2011, una serie di eventi fortuiti, o forse no, mi portano a venire spesso a Perugia, fino a quando nel 2013 mi iscrivo al corso di perfezionamento, che tu stesso ha già citato, in “Progettazione, gestione e coordinamento d’oratorio” proposto, oramai da 4 edizioni, dall’offerta didattica della Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Perugia. E’ qua che il corpo docenti e i miei colleghi di corso mi aiutano a maturare l’idea di poter non essere più solo una storica dell’arte e un’animatrice d’oratorio, ma di poter far fruttare la mia vita a metà fra i due binari dell’arte e dell’oratorio e di diventare quindi una storica dell’arte dell’oratorio. In questa direzione vanno il mio tirocinio e la mia tesi: per il primo, progetto dei percorsi artistico-spirituali sul tema della comunità nelle due basiliche inferiore e superiore di Assisi, da vivere in occasione del II Happening degli Oratori Italiani. La mia tesi, dal titolo “L’animazione con l’arte in oratorio” si è invece interessata di prendere l’offerta turistica di Perugia, che prevede 5 itinerari per i 5 rioni e le 5 porte di Perugia, e renderla a misura di bambino e di oratorio, animandola. Stuzzicata da quello che mi succedeva, inizio a lavorare con delle agenzie turistiche e delle associazioni culturali proponendo laboratori nelle classi elementari e gite animate per le scuole, ma non mi bastava. Oramai per me l’arte non aveva senso senza animazione: per tanto tempo avevo avuto uno strumento fra le mani e non sapevo cosa farci, ora l’animazione gli aveva trovato un fine. A Ottobre 2015 frequento un percorso di formazione per l’avviamento di una start-up, perché già da un po’ con la testa e con il cuore avevo capito che avevo ricevuto in dono l’altra faccia di Veronica: il 19 Maggio del 2016 nasce ufficialmente ArtOratorio e con essa la mia volontà di fare della mia vocazione anche una professione!

2. Cos’è per te l’Oratorio?

Visto che prima sono stata lunghissima, adesso ti risponderò usando tre parole chiave: famiglia, scelta e stile. Famiglia perché se penso non tanto all’oratorio, ma al Centro Oratori Romani, che è il luogo dove io ho incontrato l’oratorio, la prima cosa che mi viene in mente è famiglia, perché nei fatti quello sono stati nella mia vita. Loro sono le prime persone alle quali io dico tutto. Scelta, perché non troverò mai le parole per spiegare che cosa significa, per una ragazza di 17 anni, trovare un posto dove ti viene chiesto di scegliere, anche solo il colore di un pennarello, e ti viene data la capacità di esprimerti per quello che sei, anche se ti vesti di rosa e sei un vulcano in continua eruzione: questo ha fatto con me l’oratorio, ha preso quella energia che mi avanzava fra le mani e l’ha incanalata per farci qualcosa di bello. Stile perché oramai l’oratorio è la mia vita, lo stile che ho scelto è l’animazione. Se io sono qualcosa, sono un’animatrice di oratorio, con l’arte, ma innanzitutto sono dell’oratorio.

3. Visto che sei un’ esperta d’arte, a quale immagine artistica associ l’Oratorio?

Oddio, questa è una domanda che mi viene posta spessissimo, ma è una domanda che odio, perché mi è difficilissimo rispondere!!! Me ne vengono in mente tante: opere di fronte le quali ho preso decisioni sull’oratorio, opere che ho utilizzato per pregare con i ragazzi, se però ne dovessi scegliere una ti direi una chiesa medievale, magari in Umbria, di quelle dimenticate e che conosci solo se le hai studiate e magari sei un po’ nerd come me. Quelle chiesette medievali spoglie con sulle pareti solo qualche lacerto di affresco, di quelle che per arrivarci ti devi arrampicare con la macchina per dei sentieri sterrati con la macchina. Mi vengono in mente San Pietro in Valle a Ferentillo, San Salvatore a Spoleto o il tempietto sul Clitunno a Campello: poche cose mi rendono felice come partire da sola per raggiungere questi luoghi e passare la giornata con loro a fotografarli e leggere guide che ne parlano vedendo in diretta ciò che spiegano. Rispetto all’inquietudine di cui ti parlavo prima, solo due cose riescono a trattenermi per ore con loro e lo fanno da anni: queste due cose sono l’arte e l’oratorio.

4. Se dovessi associare all’animazione d’Oratorio una tecnica artistica quale o quali sceglieresti?

Sicuramente l’affresco, perché amo gli affreschi, e amo l’oratorio! Quello che amo degli affreschi è che difficilmente ci puoi stare davanti, ti stanno sempre intorno, ti abbracciano, perché difficilmente realizzano un’opera, ma di solito la decorazione di un intero ambiente; amo il fatto che per realizzarli ci vuole un progetto, ci vogliono anni e devono collaborare tante persone insieme, ognuna con un ruolo, ma che ogni parte, per essere realizzata, deve rispettare delle precisissime esigenze di tempo e spazio; amo, infine, il fatto che siano pieni di dettagli che però di solito è impossibile notare se non a una distanza ravvicinata, ma tutti quei dettagli concorrono alla bellezza complessiva di quell’affresco. Non noti anche tu molte analogie con l’oratorio? Poi sai, gli affreschi si realizzano grazie a una particolare reazione chimica che si chiama carbonatazione per cui l’intonaco asciugandosi ingloba in sé il colore steso: ecco io ogni volta che sono in un ambiente decorato ad affresco sento tutto lo stress e tutto ciò che mi appesantisce nella vita asciugarsi, risucchiato da quell’intonaco. Questa cosa mi succede anche in oratorio.

5. Di quale materia, per la realizzazione di un opera d’arte, è fatto l’Oratorio?

Ah beh tutte! L’oratorio è fatto esattamente degli stessi materiali e delle stesse risorse che servono a realizzare un’opera d’arte: semplicemente perché l’oratorio…è un capolavoro! Serve qualcuno (e Qualcuno) che ci commissioni l’opera; serve qualcuno che ci creda, che veda, prima che esista, cosa potrà essere; servono degli strumenti; servono delle persone che ci investano energia e competenze, talenti e carismi; serve tempo; servono dei materiali, e questi materiali costano e devono essere saputi utilizzare. Servono degli spazi, ma soprattutto serve che la comunità che abita il luogo dove quell’opera nasce, non guardi solo l’opera, ma la viva, la attraversi fisicamente e attraversi i secoli con lei, ogni volta risostanziandola di significati nuovi. Utilizzo sempre quest’espressione un po’ iperbolica, ma che rende l’idea: Pompei non crolla perché non viene restaurata. Pompei crolla perché non capiamo cosa ha da dirci oggi, e quindi non capiamo perché restaurarla. La reintegriamo fisicamente, ma non ricuciamo il tessuto culturale che la connetteva in maniera solidate alla gente e al territorio in seno a cui è nata: sistema preventivo è il tema chiave. Lo disse Giovanni Urbani per quanto riguarda i beni culturali, ma ancora prima lo disse Don Giovanni Bosco (il fatto che poi sia diventato santo, in questo momento è secondario). E quindi, direi, che, ancora una volta, tutto torna.

6. Parlaci di ART – ORATORIO

Da dove partire…come ti dicevo prima la sensazione forte che ho è che esistesse già prima che io lo concepissi, era nell’aria, è un progetto che mi è stato donato per il quale nutro rispetto reverenziale. E’ la mia vita. Se penso a quando da matricola, quadernino e cataloghi alla mano, giravo per le chiese della “mia” Roma, mi accorgo che già allora ero dentro ArtOratorio con tutte le scarpe. E’ la mia storia ed è anche qualcosa da difendere, perché non solo è la mia vita, ma è il mio modo di testimoniare, è la mia vocazione. Tutto ciò che a oggi costituisce ArtOratorio è nato molto prima che io mettessi a punto il mio progetto: gli itinerari sono le mie passeggiate preferite per Roma, i viaggi sono le gite che ho realizzato negli anni, nelle mie fughe dalla metropoli, alla ricerca di luoghi del cuore e di bellezze di cui avevo trovato traccia; il logo è la risposta a una domanda che mi venne fatta una volta a bruciapelo: “cos’è per te Animazione?” Io risposi, ma le parole, giuro, non erano mie: “Un fiocco, perché l’animazione lega e abbellisce”. Se mi guardo indietro ogni piccolo passo che ho fatto nella mia formazione da storica dell’arte, ogni convegno al quale ho partecipato e ogni corso post-lauream che ho svolto; e ogni progettazione, formazione, catechesi, esperienza d’oratorio che ho vissuto e sperimentato, mi hanno portato ad ArtOratorio. Se penso che appena laureata volevo fare il dottorato con un progetto sull’arte copta e mozarabica mi viene da sorridere: a quattro anni di distanza posso dire che il mio lavoro è portare bambini e ragazzi a spasso…e mi sembra la cosa più bella del mondo!!!

7. Come si fa in un mondo come il nostro a mostrare il bello che c’è?

Dandogli Senso. Lo scrivo con la S maiuscola perché non intendo “senso” come significato, ma proprio il senso, quello dei 5 sensi. Il mondo va visto, ma anche ascoltato, odorato, toccato. Diamo senso al mondo, e possibilmente un senso bello, se accendiamo e alleniamo sempre più i nostri 5 sensi a riconoscere il Bello, e quindi Dio nel mondo. Che profumo ha la tua vita? Che gusto ha? Cosa tocchi con i piedi e le mani nelle tue giornate? No perché queste sono le cose che entrano dentro di noi eh, anche quando non ce ne accorgiamo. Con l’animazione con l’arte in oratorio ho imparato che non solo la bellezza si può conservare, ma che si può svelare là dove è nascosta e si può portare là dove non c’è! I cinque sensi sono come 5 tunnel che Dio ci ha scavato pe raggiungerci più velocemente nelle nostre vite quotidiane. Sono corsie preferenziali, cinque canali, cinque antenne. Chiaramente vanno educati e soprattutto sincronizzati, in un mondo che ci bombarda di immagini, ma appiattisce i sapori. In questo l’arte è speciale, perché speciale è il senso della vista. Perché? Beh, intendo dire che, per esempio, tutti i verbi che connotano un’azione di senso (toccare, odorare, ascoltare, annusare) possono essere sostituiti con il verbo “sentire”. Vedere no. E pensate che, in greco antico, al passato il verbo “vedere”, cambia significato e diventa “sapere”: se tu hai visto, hai conosciuto. E’ il conoscere che permettere la riconoscenza: se Dio lo sapremo vedere, quindi riconoscere nel mondo, sapremo rendergli grazie, sapremo essergli riconoscenti.

8. Come si fa far staccare gli occhi dallo schermo dello smartphone per ammirare un’opera d’arte?

Capendo che l’opera d’arte è come una persona. Il concetto è lo stesso. Perché con una persona è meglio vedercisi per parlare piuttosto che chattarci? Ecco, questo è lo stesso motivo per il quale è importante relazionarsi a un’opera d’arte. Perché come te, proviene da una storia, ha una storia da raccontarti, ti può donare tanto e tu gli potrai donare tanto. L’arte, paradossalmente, credo che vada anche in un certo senso scardinata di quell’aurea che la rende colta, quindi alta, quindi irraggiungibile. Facciamo l’esempio della musica: la società e la cultura ci hanno tramandato la storia della musica e quindi coloro che nei vari secoli hanno raggiunto vette altissime. E’ importante, quindi conoscerli, ma non amarli tutti. Per esempio, io vado per curiosità a concerti di musica jazz, per istruzione a quelli di musica classica, ma io amo la musica rock. Ecco, dovrebbero essere fornite più occasioni ai nostri bambini e ragazzi per discernere quale arte gli piace. Non ci possiamo lamentare che oggi l’arte contemporanea (che tra l’altro ha un sacco di punti di contatto con l’arte medievale) sia incomprensibile. L’arte è ahimè un linguaggio espressivo che si è perso. Dobbiamo quindi tornare a parlarlo. Posso essere un po’ polemica? Ma tu sai cosa intendo, io e te già lo abbiamo fatto questo discorso! Di fondo chi se ne importa che un’opera d’arte sia stata realizzata da Tizio nell’anno X. Sarebbe come dire che chi ci legge possa avere la presunzione di conoscermi perché grazie a questo articolo sa come mi chiamo e quando sono nata. I dati anagrafici acquistano senso quando ti danno le coordinate di una storia che tu di tuo già hai intercettato e che di per sé già ti ha parlato. Si chiede la data del compleanno, dove si abita e come si chiamano i nostri genitori solo quando oramai si è talmente interessati a quella persona da volerne sapere tutto; ma allora perché violentiamo le opere d’arte chiedendogli subito quando sono state dipinte e da chi. Stiamo crescendo generazioni inconsapevoli del tempo che vivono e degli spazi che abitano: non si può vivere un decennio senza sapere cosa ha lasciato, di brutto e di bello, la storia precedente alla nostra. I nostri ragazzi non sanno nemmeno che tipo di arte si faceva all’epoca dei loro nonni, figuriamoci se possono essere in grado di arrivare mentalmente a capire l’arte per esempio del 1500. Ma è colpa nostra: l’arte non la capiscono, perché gliela spieghiamo male. E pensiamo alle opportunità che ci offre la mole di arte cristiana che esiste: migliaia di opere nate per annunciare il Vangelo, e noi davvero facciamo fatica a immaginare le nostre città come un gomitolo di strade e angoli dove Dio ci rincorre per volerci incontrare? Si conserva narrando, si valorizza con la relazione, si promuove progettando: ecco la mia ricetta per l’animazione con l’arte.

9- Fede e bellezza camminano insieme, nonostante tutto dov’è oggi secondo te la bellezza della nostra fede?

Oh santo cielo che domande difficili!!! Paolo mi sopravvaluti!!! Paolo, ma che ne so!!! A parte gli scherzi, una delle mille cose che mi ha insegnato l’oratorio è la resilienza. I nostri sono tempi carichi di dolore e di dolori. Per questo sono anche ricchi di fede. Di fame di Dio. Un’altra cosa che a 17 anni stringevo fra le mani senza sapere che farci era il dolore. L’oratorio mi ha insegnato che quel dolore avrebbe trovato senso solo se lo avessi messi in gioco, se lo avessi offerto e ridonato, attenzione non restituito. Io sono quello che sono anche perché ho sofferto. Del resto nostro Signore, in quanto figlio di Dio, poteva tranquillamente scegliere di risorgere senza morire, e invece ha scelto di morire, tra l’altro dopo un viaggio di tre anni, dopo un “silenzio” di 30. Capisci…il luogo dove si realizza la fede è la vita. Adesso potrei snocciolare una serie di frasi un po’ alla Smemoranda, in cui però io credo molto. E’ vero che se spari al sole non si spegne, che chi getta semi al vento (apparentemente), vede fiorire il cielo e che quando è nuvoloso, non è vero che il sole non c’è. Questo il cammino di Santiago lo testimonia bene, una delle frasi che vanno per la maggiore per spiegarlo è “sin no hay dolor, no hay gloria”. Non è una cosa che ha a che fare con il vittimismo. Ha a che fare appunto con la vita. Il dolore esiste, facciamoci pace. Sta a noi decidere se subirlo o investirlo! Il dolore può essere un’opportunità: questo è quello che la mia storia mi insegna. Ecco, non ho una risposta alla tua domanda, posso solo raccontare cosa mi è successo. Posso testimoniare che le ferite possono essere feritoie da cui la luce entra e che i vuoti possono diventare spazi da far ricolmare di grazia. Posso parlare, perché l’ho sperimentato, del fatto che potranno anche capitarti mille dolori e una gioia, ma se, setacci la vita con il giusto filtro, la grazia rimane e i dolori passano. Posso raccontarti che il fallimento può diventare un momento di rendimento di grazie perché stiamo lasciando a Dio la possibilità di portare a compimento quella cosa, e che anche una carezza o una medicazione su una ferita fanno male, a volte anche la cura fa soffrire, ma solo così potrai guarire. Bisogna solo decidere per cosa stare male. Del resto la vita che almeno io ho scelto è un particolare negozio dove non è necessario spendere, ma spendersi: è sempre necessario, che qualcosa vada perso (vale così anche per l’entropia e le leggi che regolano l’universo), ma ne vale la pena…riesci a immaginarti qualcosa di più bello? Davvero riusciremmo a credere in tutto questo senza fede?

10- Che tecnica artistica ci vorrebbe oggi per dare nuova linfa la mondo degli Oratori …

Riutilizzerò la tecnica, che mi piace tanto, delle parole-chiave: hashtag contemporanei che, come il Logos della Creazione e del Prologo di Giovanni possono bene-dire, possono dire bene, possono nel momento in cui vengono pronunciate, diventare reali; parole che possono incarnarsi. Un pittore: Dio. Un pennello: noi. Una parete: i nostri ragazzi. Un disegno: il mondo. Per essere animatori dobbiamo avere un disegno ben chiaro dei nostri ragazzi e del mondo. In che scenario da noi colorato, vogliamo che diventino protagonisti del palcoscenico? Tre colori fondamentali: entusiasmo, passione e allegria. Entusiasmo è la risposta che mi diede il mio prof. di religione in V ginnasio quando gli chiesi come si chiamava questa cosa che sentivo dentro. Lui mi disse: entusiasmo, che significa, letteralmente, dal greco, avere Dio dentro. Fu una folgorazione, da quel momento divenne la mia parola preferita. Passione, parola alquanto ambigua, perché da una parte ci racconta di ciò che lega, soprattutto nei primi mesi, due persone che si amano; ma è anche ciò che ha sofferto Nostro Signore in virtù di quell’amore che provava per noi. Ecco in oratorio entrambi gli aspetti della passione ci sono, anzi, senza uno, non ce l’altro. E infine, Allegria. In contrapposizione a divertimento. Quest’ultima è una parola che viene dal latino e fa riferimento al concetto di “divergere”, a una sorta di intrattenimento che faceva per un attimo dimenticare i problemi. Allegria, viene sempre dal latino, ma ricorda il verbo “alleggerire”: non più quindi un intrattenimento per poi alzarsi un secondo dopo della fine, ma un trattenimento che non ci fa allontanare dalla vita, ce la fa abitare, perché insieme e con il sorriso, quella vita non pesa, ma è leggera. Dove realizzare questi disegni? Sempre, nella comunità. “Ama il prossimo tuo come te stesso”: ci si salva solo insieme.

…e sì Paolo, siamo amici da una vita, anche se non ci conosciamo da tanto tempo…

Grazie Veronica,

Cari colleghi la dottoressa Veronica d’Ortenzio è questa, io mi sono fidato, forse perché l’ho conosciuta, a voi tocca fidarvi di me. Ma nel caso in cui doveste andare a Roma o a Perugia o ad Assisi ecc.., e so sicuramente che alcuni di voi ci andranno, contattatala e vivrete assieme ai vostri ragazzi una città nuova, non perché sia cambiata, ma perché Veronica sarà in grado di indirizzare il cuore e gli occhi dei vostri giovani verso il buono e il bello…

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