ORATORIUM

BLOG di Vito CASALINO – 27.10.2016

Elio e le storie tese…

“Certe sere, all’oratorio, si sa che al bar qualche giovane tamarro verrà, romperà i maroni, invitiamolo a tornare al suo bar.”

Così recita, ad un certo punto, il brano “Oratorium” dei mitici Elio e le storie tese, che hanno entusiasmato tutti gli animatori riuniti all’idroscalo di Milano per la presentazione dell’oratorio estivo 2004 “Amici per la pelle”.

Ero in terza superiore, e ricordo che tornato a scuola il lunedì, andai subito da un mio compagno, amante del gruppo, a dirgli di averli visti dal vivo!

Riascoltando il singolo (di cui ho 3 copie sparse in casa e l’ultima regalatami due anni fa), mi son sempre chiesto perché i tamarri che rompono “i maroni” dovrebbero tornarsene al loro bar. Innanzitutto non tutti hanno un loro bar, e cioè un posto dove passare del tempo in compagnia, magari al chiuso, con qualcuno che semplicemente li accolga; poi, e il discorso prende una piega diversa, questa storia dei “tamarri” non mi ha mai convinto, perché alimenta, spesso involontariamente, una discriminazione, la stessa, di quando nella mia classe mi sentivo dire che andare all’oratorio a 16 anni e fare l’animatore era da “sfigati”.

E’ esattamente la stessa cosa, una separazione che non dovrebbe trovare senso in un oratorio, perché, come scrissi tempo fa, dovrebbe essere il luogo dell’accoglienza tout court.

I nostri oratori sono esempio di accoglienza, si fanno molte attività, sport, laboratori, gruppi, dove si cerca di tenere insieme tutti anche prescindere dalla fede praticata.

Sì, tutto molto bello, ma quei “tamarri” rompevano “i maroni”.
E qui si aggiunge un elemento, come accogliere chi viene per rompere uno schema?
Purtroppo, non tutti i ragazzi hanno sperimentato l’accoglienza. L’esclusione continua dai luoghi e dalle relazioni portano ad applicare misure estreme, “Se no, cosa mi fai?” è la risposta tipica di chi sentendosi giustamente ripreso per un comportamento maleducato allude alla violenza, alla chiamata delle forze dell’ordine, come se il problema si possa risolvere solo con un atto costretto e non libero.

Che risposta dare alla domanda “Se no cosa mi fai?” Per me la risposta è sempre: “Non ti faccio niente”, per provare a spiazzare (come sapeva fare Gesù, vero spiazzatore), poi è chiaro che le tante parole dette dopo, di convincimento, nel far capire che bisogna rispettare se stessi, le persone, le cose e gli ambienti, seppur dovute, non servono a molto, e allora, a volte, bisogna prendere provvedimenti seri, ma sempre nell’ottica della reintegrazione, perché noi, come cristiani, non possiamo permetterci di pensare che qualcuno non possa essere recuperato, anzi, faremmo davvero peccato! Quindi è importante far capire che la fiducia si può sempre riguadagnare.

L’esperienza mi dice che il lavoro di rete per superare le varie sfide dell’accoglienza aiuta molto.
Importante è poi scoprire e valorizzare le capacità più o meno nascoste di ognuno, senza dimenticare una buona dose di preghiera che salva loro e noi dal peso delle difficoltà che spesso ci sembrano enormi.

E allora l’augurio è quello di aiutarci a diventare sempre più costruttori di pace perché possa instaurarsi il Regno di Dio dove c’è sicuramente un posto in prima fila per i nostri “tamarri”.

Condividiamo il video parrocchiale girato al campo giochi per ragazzi delle medie a Regina Pacis di Reggio Emilia nel luglio 2004 sulla musica di Elio e le storie tese.

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