L’EDUCATORE PROFESSIONALE IN ORATORIO

18 NOVEMBRE 2016: UNA GIORNATA NATA DALLA CONDIVISIONE

A cura di Ottavio PIROVANO | Prima di addentrarci nelle moltissime sollecitazioni che la giornata di venerdì ci ha offerto, penso sia bello sapere come si è avviato il lavoro che ha portato ad una giornata nazionale, la prima, di studio e riflessione sulla figura dell’educatore professionale in oratorio.
Come spesso capita, sono molteplici le cause che hanno portato a conoscersi, e non tutte le cause sono state cercate, ma molte sono state “donate”, in modo gratuito a partire dalla passione per un lavoro così particolare e dalla voglia di condividere la fatica ma soprattutto la ricchezza.
È la curiosità di voler sapere come altri fanno il tuo stesso lavoro che ci ha portato ad incontrarci, per scoprire anche che già da tempo si sapeva dell’esistenza gli uni degli altri ma per vari motivi non ci si è mai incrociati.
Una volta che è partito il treno della conoscenza reciproca non ci si è più fermati, perché si è intuito subito che la condivisione del lavoro portava a riflettere sul ruolo dei laici nella pastorale, sulla professionalità richiesta, sulle competenze necessarie per educare oggi, temi che ciascuna realtà aveva sviluppato al proprio interno, ma ora venivano arricchiti dal contributo di tutti. Pur essendo diversa la tradizione di oratorio delle singole realtà ecclesiali, il punto unificante è il desiderio di educare i piccoli affinché diventino pienamente adulti, per rispondere a quello che è uno degli obiettivi “secolari” dell’oratorio: formare onesti cittadini e buoni cristiani, come insegnava don Bosco, traducibile oggi in tante esperienze attente all’umanizzazione dei ragazzi e per ciò a servizio della loro crescita nella fede.
Educare in oratorio significa sposarne il metodo, quello dell’animazione, un metodo attento all’incarnazione perché capace di parlare una pluralità di linguaggi, disponibile ad accogliere tutti perché ciascuno non colga la sua situazione come impossibile da conciliare con la proposta dell’oratorio; un metodo che intende dare vita, gioia, speranza a situazioni che a volte ci appaiono senza via d’uscita. L’incontro tra esperienze diverse ha messo in luce anche l’utilizzo di diversi linguaggi, una pluralità di strumenti educativi che dicono i diversi approcci che l’educazione mette a disposizione quando l’obiettivo non è l’indottrinamento ma la liberazione dell’altro. Certo, le differenze tra i territori, e soprattutto delle tradizioni ecclesiali hanno la loro incidenza nel confronto, ma in un’epoca come la nostra è importante e forse necessario lasciarsi contagiare dalla scelte e dalle esperienze di altri, soprattutto in un ambito come quello dell’educazione alla libertà e della scoperta del senso della propria vita.
Allora ci si può anche mettere insieme e pensare e programmare una giornata come quella di venerdì, in cui certamente abbiamo tutti respirato un’aria comune, quella della passione educativa, quella della competenza, ma soprattutto quella di adulti disposti a servire, nei modi e nei tempi che ci vengono chiesti, le giovani generazioni
E dunque, anche la modalità dell’incontro ha cercato di dire il lavoro fatto nella preparazione: a differenza di altri convegni in cui si invitano dei relatori a portare il proprio pensiero, abbiamo voluto provocare alcuni autorevoli docenti e incaricati ecclesiali con le nostre domande, con le nostre intuizioni e preoccupazioni. Soprattutto la tavola rotonda del mattino ha messo in luce le questioni di fondo che insieme avevamo focalizzato, una su tutte la questione della testimonianza di fede dell’educatore. Ma del convegno ciascuno può farsi una propria idea rivedendo il video della giornata.
La storia di anni di lavoro ci ha fatto incontrare e desiderare di costruire qualcosa insieme, a partire dal desiderio che l’esperienza educativa a servizio dei piccoli possa diventare patrimonio non solo di quelle parti della nostra nazione che da decenni promuovono l’oratorio, ma anche di quei territori che per vari motivi non hanno mai avuto questa esperienza; speriamo che venerdì e tutto quello che verrà in seguito facciano comprendere che per dirsi “oratorio” bastano la passione educativa, accompagnata da una competenza oggi sempre più necessaria per incarnare la Gioia del Vangelo in ogni situazione.

PRIMA-DURANTE-DOPO

Tre sono le fasi della costruzione di un evento: la preparazione, l’evento, il seguito. Del prima abbiamo appena detto, nel racconto dell’incontro tra le varie cooperative; dell’evento abbiamo il video che meglio di ogni altra testimonianza fa rivivere l’evento, fatto di parole, persone, dialoghi, toni di voce, molto diverso dalla pubblicazione degli atti che, qualora dovessero arrivare, avranno la loro importanza soprattutto dal punto di vista della memoria e dell’apporto di ricerca a livello educativo; per quanto che riguarda il dopo, iniziamo una serie di articoli che riprendono alcuni aspetti della giornata che, per necessità tempistiche, sono state evocate senza che ci sia stata la possibilità di approfondirli. Il dopo serve per mettere ordine, per mettere insieme alcune affermazioni fatte da relatori diversi, per giungere a dei punti di “non ritorno” rispetto ad una presenza educativa ritenuta ormai indispensabile, senza che questa si sostituisca alla comunità cristiana e a quella marea di volontari, vero motore dell’oratorio ad ogni latitudine!! Ma gli anni di lavoro dicono che la presenza di un educatore professionale, di un laico che riconosce il suo servizio nella chiesa, ha favorito la moltiplicazione di altre presenze volontarie, forse perché queste si sentono maggiormente tutelate…

LE COSE CHE “HO PORTATO A CASA” DAL SEMINARIO DI BOLOGNA

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A cura di Paolo STORTI | È arrivato il tempo di interrogarsi sulla figura dell’educatore in oratorio, di delineare e definire un profilo professionale unico, di comprendere quali strumenti e competenze l’educatore debba maturare per affrontare le sfide educative che le nuove generazioni e la storia ci presentano. Per questo motivo, accogliendo un invito lanciato all’assemblea del FOI il 9 ottobre 2015, viene proposto questo seminario di studio, dal titolo “Dalla necessità al progetto”, che vuole essere il primo di una serie.
(http://www.retesicomoro.it/Objects/Pagina.asp?ID=9615)

1. Questo seminario era necessario.
Perché l’educatore professionale, o di professione, in Oratorio oggi è una realtà certificata sul piano nazionale, una realtà funzionante e funzionale, che si colloca in una situazione d’oggi di “emergenza educativa” e di “povertà sociale”. Esso può, e dovrebbe rappresentare il valore aggiunto capace di andare oltre la semplice soddisfazione dei bisogno, e presentarsi come l’elemento di incontro che favorisce la relazione educativa, dentro e fuori l’Oratorio, pertanto è necessario che se ne parli, e che questa figura venga sdoganata.

2. La professionalità ha in se dei rischi possibili, probabili, ma non certi, appellarsi a questi per mettere freno, allo slancio professionale non avrebbe alcun senso, non esiste impresa senza rischi.
L’oratorio nella Chiesa in uscita è porta aperta, è accoglienza. Essere educatori professionali in Oratorio vuole soprattutto dire, essere coscienti di “non fare un lavoro” ma di essere una professione, il che vuol dire saper andare oltre il semplice rapporto lavorativo facendo aderire il progetto di se con il progetto della comunità nella quale si è chiamati a vivere, alla base del lavoro professionale retribuito vi è quindi la gratuità, non come paradosso ma come elemento distintivo di serietà e adesione ai valori evangelici che contraddistinguono questo lavoro, e le persone, uomini e donne con le loro storie che lo vivono.

3. E’ necessario essere dei professionisti, e non improvvisarsi mestieranti.
Il detto popolare “tanto è una roba d’Oratorio” non può più essere usato se riferito al fatto che sia una cosa che abbia poco valore, ancor meno lo si può riferire ad un educatore che operi in Oratorio, la buona volontà non basta più,  essa va assistita e sostenuta, con la tecnica, le conoscenze, e miscelata con l’esperienza per tradurre le azioni educativi in gesti artistici capaci di leggere il contingente e proiettarlo nel futuro, per non consegnarsi impreparati alla realtà.

4. La cooperativa è uno strumento, se non lo strumento necessario per favorire questa professionalità.
Grazie al lavoro cooperativo, che è esso stesso educazione l’educare che lavora per la cooperativa al servizio della parrocchia, o comunità pastorale si trova già inserito in un contesto lavorativo progettuale che pone al centro l’individuo, per tanto la cooperativa diviene non solo doverosa ma necessaria

5. E’ necessario che laici e presbiteri lavorino assieme, in comunione.
Nel lavoro educativo non esiste un mio e un tuo, la mia e la tua parte perché al centro deve essere posto l’educando ed esso non può essere smembrato. Non dunque una gara tra chi è più importante e chi è più attraente ma una gara per porre al centro del progetto il ragazzo e tutto il suo mondo.

6. La necessità può essere colta solo, e soltanto se, si è presenti accanto ad essa.
Il fermento, il bisogno, le domande e le necessità nascono spontanee nel cuore e nella pancia di chi le avverte necessarie e non le può più contenere. Esse non possono essere indotte o indottrinate perché si pensa di averne la cura. Restando “sul campo” vivendo giorno per giorno le relazioni si colgono e si affrontano i bisogni e su di essi si scrivono progetti per il presente e per il futuro, sempre in divenire.

7. Il progetto è necessario è arrivato il tempo di scriverlo.
Una figura che racchiude in se tante potenzialità ed alcune possibili problematiche merita di essere studiata  per non correre il rischio di essere osannata o al contrario dimenticata velocemente. E’ necessario che attorno ad essa si crei un discorso di intenti, di volontà e di cura affinché essa possa divenire universale strumento per i ragazzi al servizio degli oratori.

8. L’Oratorio, per il suo carattere inclusivo è il luogo ideale per gli adolescenti e i preadolescenti.
Se ancora oggi, nel 2016, ci sentiamo di sottoscrivere quest’affermazione vuol dire che abbiamo un alta considerazione dell’Oratorio e allora per esso dobbiamo pretendere il massimo, così come il meglio dobbiamo volere per i ragazzi che lo frequentano, in un luogo ideale ci vogliono anche le condizioni ideali, e gli incontri ideali per far si che veramente l’Oratorio sia il Luogo per gli adolescenti, siamo pronti ad essere incontro?

9. Il gesto educativo diviene gesto che accompagna alla vita.
La vita non è fatta di parziali ma di un intero. Il gesto dell’educatore nei confronti di un ragazzo dell’Oratorio non è fine a se stesso o alla situazione contingente ma riguarda tutta la vita del ragazzo, bisogna essere pronti ad entrare nelle vite, a farsi spazio, a non ritrarsi e a non arrendersi, bisogna essere capaci di farsi compagni di viaggio, nel cammino della vita, con la massima serietà possibile, perché con la vita non si scherza, spesso se, come oggi capita, è fragile e poco sostenuta.

10. Serve qualcuno capace di appassionare.
Una passione la si trasmette di padre in figlio, la si passa con il cuore, con gli sguardi innamorati, con la cura dei gesti, con la costante presenza intorno all’oggetto o alla situazione che ci appassiona, una passione la si dimostra solo vivendola, chi meglio di chi ha fatto della sua passione, l’educazione, del suo sogno, l’Oratorio, l’investimento della sua vita, e magari quello della sua famiglia, può essere il motore trainante verso il dono di se per l’oratorio e per i ragazzi che lo vivono?

 

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