Andrà tutto bene… se…

A cura di Ottavio PIROVANO

Provare a reagire a fronte di una situazione grave, come lo è la Pandemia che però ha evidenziato gravi carenze educative precedenti, è il minimo che ci si possa augurare; non è automatico che si percorrano strade di ripartenza e rinascita, ci vogliono alcune condizioni affinchè non si peggiori la situazione.

Anzitutto, ci possiamo rifare alla affermazione di Papa Francesco quando disse, al termine dell’omelia della Pentecoste del 2020: “Perché peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla, chiudendoci in noi stessi”. L’apertura è dunque il primo atteggiamento che possiamo mettere in campo come reazione alla emergenza che stiamo vivendo. Ma che cosa significa “aprirsi”? Certamente è un richiamo ad andare verso l’altro, verso chi ha subito maggiormente la crisi attuale, ma più profondamente credo che significhi porsi in un atteggiamento di ascolto serio, profondo. L’ascolto è sempre sorprendente, l’ascolto, se vissuto in modo intenso, serio, mette al centro l’altro, ovvero ti chiede anzitutto di uscire da schemi e risposte precostituite. L’ascolto implica lo stupore, spesso la meraviglia: quando accade di ascoltare racconti di situazioni drammatiche si scopre anche il desiderio di vita che la persona ferita esprime, a volte inconsapevolmente.

Provo a farmi capire con un esempio (l’ho ascoltato da un catecheta, Andrè Fossion, che paragona la situazione della Chiesa alla tempesta di cui adesso leggerete).

Il 26 dicembre 1999, un uragano chiamato «Lothar» ha dilagato sull’Europa, in particolar modo nell’Est della Francia, con venti a più di 150 km orari. Si stima che 300 milioni di alberi siano stati abbattuti sul territorio francese. L’uragano ha lasciato dietro di sé uno spettacolo desolante. Si sono contati una sessantina di morti e un certo numero di suicidi di forestali o proprietari che non hanno potuto sopportare l’enormità della catastrofe. «Una cattedrale crollata non è grave, dice un forestale, può essere ricostruita. Una quercia di 300 o 400 anni, no».

Dopo la catastrofe, alcuni uffici tecnici hanno velocemente elaborato programmi di rimboschimento, progetti di reimpianto, piani di semina. Si trattava di approfittare della catastrofe per ricostruire la foresta secondo l’immagine ideale che era possibile farsene.

Ma una volta che si è trattato di attuare questi piani di rimboschimento, gli ingegneri forestali hanno constatato che la foresta li aveva anticipati. Hanno osservato una rigenerazione più rapida di quella prevista che veniva ad ostacolare i piani di rimboschimento manifestando talora delle configurazioni nuove, più vantaggiose, alle quali gli uffici tecnici non avevano pensato. La rigenerazione naturale della foresta manifestava, sotto molti aspetti, una migliore bio-diversità e un miglior equilibrio ecologico tra gli abeti rossi e le latifoglie. Specie che erano state soffocate dalla vecchia foresta potevano rinascere. La catastrofe risultava utile anche per la rinascita o la diffusione di alcune specie animali.

Da una politica volontaristica di ricostruzione della foresta secondo i loro piani, gli ingegneri forestali sono passati ad una politica più duttile di accompagnamento della rigenerazione naturale della foresta, individuando ed afferrando le possibilità nuove e vantaggiose che questa rigenerazione naturale offriva. Non si trattava di rinunciare ad ogni intervento, ma, piuttosto, con più competenza, di accompagnare, in maniera attiva e vigilante, un processo di rigenerazione naturale. Ecco cosa dice un ingegnere forestale di questo atteggiamento di accompagnamento: «Giovani piantine di alberi di varie specie sono cresciute. Il nostro lavoro è stato allora di liberarle delicatamente, di accompagnarle, di accogliere la vita della natura invece di credere che fosse scomparsa, invece di reimpiantarla artificialmente. Questo per noi è stato incoraggiante. In questa logica, abbiamo deciso di lasciare nelle foreste dello Stato e dei comuni le tracce dell’uragano, qualora non fosse necessario farle scomparire per la sicurezza o le condizioni di lavoro degli operai forestali. Abbiamo così lasciato ceppi rovesciati, buchi, tronchi spezzati o mucchi di rami. Tre anni dopo, ho potuto constatare in alcune foreste che queste «anomalie» avevano permesso l’installazione di piante o di animali che non erano presenti nella foresta «normale» di prima».

Direi che possiamo raccogliere qualche indicazione anche per noi, per una azione attenta ai nostri interlocutori.

Anzitutto sembra di leggere che la reazione è stata rapida, immediata, quasi a voler togliere dalla vista l’immensa catastrofe che, agli occhi di una guardia forestale, ma anche semplicemente degli abitanti della zona, aveva evidentemente un effetto devastante (tra l’altro un evento simile è capitato anche in Italia nel 2018, e le immagini le abbiamo ancora davanti a noi). Non si può rimanere inerti di fronte a tanta desolazione, ma questo atteggiamento non nasce solo dall’indifferenza ma anche dall’impossibilità a reagire. Avere pensato ad una risposta corale, con una Cordata, è decisivo per sostenersi a vicenda in una impresa complessa.

Ciò che forse però sorprende maggiormente è il fatto che i soggetti che avevano il compito di riportare vita, la stavano trovando nella natura stessa, così apparentemente distrutta e resa inerte. Invece la vita non era stata distrutta, c’era vita e anche una forma di vita nuova che la situazione precedente aveva messo in secondo piano. La foresta stava ripartendo da sola, andava accompagnato questo desiderio di vita, non sostituendosi, ma anzitutto ascoltando e addirittura assecondando quanto la natura stava offrendo come risposta possibile ad una ferita gravissima.

Non so se sia possibile trasferire al 100% questo esempio anche nella nostra situazione, certo è che se parliamo di ascolto e di mettere al centro la vita dei piccoli, degli adolescenti, l’operazione è simile. Prendiamo ad esempio un ragazzo, una ragazza di terza media: tutti e tre gli anni sono stati segnati dalla pandemia, con continue chiusure, lezioni in DAD, sospensione dello sport e tutto quanto sappiamo, eppure stanno scegliendo la scuola superiore. Se già questa scelta, anche in tempi pre-Covid risultava difficile, immaginiamoci oggi, quando su molti aspetti della loro vita non sono nemmeno riusciti a misurarsi. Forse è proprio l’occasione per affiancarli per scoprire insieme qualche sogno, qualche desiderio, aspetti che la pandemia sembra proprio aver spazzato, riducendo il pensiero sul futuro al giorno successivo!

Gli esempi si potrebbero moltiplicare ripercorrendo tutte le età della preadolescenza, dell’adolescenza, della giovinezza, e l’ascolto serio ci porrebbe nella condizione di chiederci se noi abbiamo sogni, desideri, o se in fondo la pandemia ha smascherato anche le nostre illusioni, o la fragilità di alcuni progetti senza troppi fondamenti.

È bello pensare che un’altra crisi pesante, che poteva anche portare alla disillusione totale in merito all’Alleanza, ha fatto nascere dall’ascolto, dal confronto e dalla riflessione, una apertura alla vita inimmaginabile: sto parlando di un momento storico preciso, ovvero l’esilio a Babilonia del popolo di Israele, della rimessa in discussione dell’Alleanza (il drammatico salmo 137…), dell’ascolto delle tradizioni dei popoli oppressori. Bene, da questa situazione terribile, sono nate le prime pagine della Bibbia, in cui, sorprendentemente, Dio non è “semplicemente” Alleato di Israele, ma creatore di ogni forma di vita e Signore della Storia.

Ripartire dall’ascolto, dal desiderio di vita che magari si esprime in forme diverse da quanto ci attendiamo, è il compito entusiasmante e complesso che ci attende. Andrà tutto bene… se saremo capaci di fare Alleanza non solo tra adulti seriamente impegnati, ma anche con i piccoli.

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