FINE ANNO, TEMPO DI CLASSIFICHE

“Ripartiamo dagli ultimi”

di Ottavio PIROVANO

07.01.2016 – Forse per una volta tutti noi ci siamo chiesti: ma perché l’anno non inizia a settembre, quando ricominciano tutte le attività? Sarebbe molto più semplice per tante cose, e comunque lo sfasamento tra calendario sociale, che appunto inizia a settembre e calendario solare attribuisce a questo periodo il compito, a volte gradito e a volte meno, di fare le classifiche. Si mettono in fila esperienze, fatti accaduti, personaggi, risultati e si pongono su bilance di cui a volte non si capiscono i contrappesi. In questi giorni è uscita anche la classifica del Sole24ore sulle città più vivibili, fatta di 6 macro indicatori all’interno dei quali ci sono 36 micro indicatori, e così molte altre, a volte più serie e a volte più divertenti (chi, almeno una volta in vita non ha provato a sfogliare il libro dei Guinnes dei primati?). Questa inflazione di classifiche sembrerebbe far sospettare che sappiamo dare dei criteri precisi nella valutazione di tutto quanto accade, delle scelte che compiamo, a tutti i livelli, politici, sociali, religiosi. Eppure, a noi tutti le cose non appaiono così chiare, anzi, una delle frasi più ripetute che certamente vincerebbe la classifica delle espressioni più utilizzate è: non si capisce più nulla!
Con grande rammarico dobbiamo dire che in questi anni, complice anche la velocizzazione della comunicazione, siamo stati bombardati di notizie di grandi fallimenti laddove si erano riposte le speranze di molti uomini e donne del nostro tempo: a livello economico stiamo faticosamente uscendo da una crisi epocale causata non da eventi esterni all’economia, ma dalla crisi stessa del sistema economico e delle libertà da vincoli da esso invocata, a fronte della quale moltissimi hanno detto che “comunque dopo la crisi non saremo più come prima”; se guardiamo alla politica italiana e mondiale, non c’è da stare allegri: corruzioni a parte, si fatica a trovare un leader che sappia proporsi con autorevolezza e al tempo stesso sappia trascinare gli altri leader verso una visione locale e mondiale volta alla condivisione dei beni e delle risorse della terra; a livello sociale sembra che il flusso migratorio continuo ci abbia colti di sorpresa quando si sa da anni come andavano le cose in Africa e poi è da quando esiste l’uomo che ciascuno cerca una situazione migliore in cui vivere; a livello culturale l’occidente sta vivendo un momento senza leader e senza movimenti capaci di spinte in avanti, e se ci sono non riescono ad emergere nel grande caos comunicativo; grande illusione anche dalla “rete”, anche questa però prevedibile: una maggiore comunicazione, non necessariamente porta ad una maggiore formazione e quindi ad un allargamento delle conoscenze, dipende sempre da chi immette informazioni, dal singolo al grande network mondiale. E tutte queste situazioni sono state ben evidenziate da classifiche e analisi.
Insomma sappiamo fare le classifiche…dopo! Prevedere cosa può accadere a fronte di determinate scelte non è possibile?
Da poco è uscita quella che possiamo definire una “classifica” dei nostri oratori, fatta certamente bene e con tutti i canoni della scientificità. Sarebbe interessante chiedersi quali sono i dati che maggiormente ci hanno stupito: forse quello riguardante il progetto educativo dell’oratorio? Oppure quello che quantifica i giovani partecipanti ai nostri percorsi di fede? Oppure le proposte per i ragazzi stranieri? Ma, passato lo stupore e a volte lo smarrimento per la insignificanza delle nostre proposte (se al cammino di fede partecipa l’1% dei giovani significa che il 99% non partecipa e che forse la prossima rilevazione sarà da prefisso telefonico…), quali contromisure stiamo cercando? Prima però, non per colpevolizzarci, ma per intraprendere un itinerario serio, sarebbe importante chiedersi come mai siamo arrivati a questo punto, in quanti anni è avvenuto questo deflusso, ormai stiamo parlando di una malattia cronica e quindi la cura probabilmente sarà dolorosa (in medicina si trapianta un organo nuovo su un paziente cronico, con speranza di successo ma anche con il rischio di rigetto). L’esercizio è arduo, perché la caccia al colpevole è la tentazione dietro l’angolo, o anche semplicemente per dare la colpa al “mondo cattivo” in cui siamo, diverso da decenni precedenti dove si riusciva a coinvolgere più persone.  Provo allora dare un classifica, questa volta in anticipo, affinché il 2016 possa essere un anno di inversione di tendenza
Dedichiamo tempo all’ascolto: ascolto della Parola di Dio per scoprire che il Signore è colui che da vita a situazioni disperate; ascolto delle persone, dei collaboratori che ci stanno accanto per condividere paure e sogni; ascolto della gente perché lì troviamo già la presenza del Signore, in quelle vite disperate che nonostante tutto ogni giorni cercano tenacemente di aggrapparsi alla vita.

Dedichiamo tempo alla nostra formazione: la formazione si basa certamente anche sulle classifiche, che sono i dati di realtà, e va ad attingere ad alcuni pozzi l’acqua della saggezza, della fantasia, dell’inventiva, del coraggio; ci sono classifiche molto interessanti di pensatori, anche del nostro tempo, che, credenti o meno, sanno leggere i segni dei tempi e indicano la strada da percorrere per riconoscere la vita che non vuole soffocare.

Dedichiamo tempo alla condivisione del nostro lavoro: troviamo più spazi, maggior tempo da dedicare al confronto, perché il lavoro che facciamo è molto importante per noi e per le persone che ci sono affidate; è la nostra via alla santità, è la strada che il Signore riempie di Grazia, e, come la manna, i doni del Signore vanno condivisi; è una via nuova nella Chiesa ed è bene che ciascuno la percorra con dei fratelli e sorelle, perché, come diceva un amico gesuita, la “corsa del vangelo” non la si fa correndo, ma insieme.

Impariamo a progettare insieme: gettare ponti verso situazioni critiche è il senso più profondo dell’azione del progetto. Non una operazione astratta, non una predeterminazione dei risultati, non una pianificazione degli interventi quasi che avessimo a che fare con delle macchine da programmare, bensì progettare come sinonimo di esercizio dell’intelligenza in relazione ad una situazione concreta. Significa anche prevedere cosa potrà accadere, da un lato, e dall’altro prepararsi ad essere spiazzati dalla realtà: solo rispondendo con intelligenza e passione ad una situazione si genera scompiglio e ci si mette in movimento. Fare tutto ciò insieme significa crescere e far crescere comunitariamente: il nostro ruolo non può non avere come orizzonte la comunità come soggetto che evangelizza.

Ripartiamo dagli ultimi: da sempre l’oratorio ha messo al centro ciò che in altri contesti è periferico ed emarginato. Significa che tutti devono abitare l’oratorio? La ricerca dice che non siamo più un luogo abituale di passaggio, forse allora la preoccupazione dovrebbe essere quella di suscitare la discussione: chi si occupa di chi non passa in oratorio? La parrocchia, l’oratorio sono nati per dare a tutti cittadinanza nella comunità; se, per vari motivi l’oratorio non è più in grado di rispondere alla domanda per cui è nato, nella comunità si dovrebbe porre la domanda: chi porta il vangelo nelle periferie esistenziali dei giovani?

Cinque punti, ciascuno può fare la classifica che vuole cambiando di ordine, anzi, sarebbe interessante scambiarsi la propria classifica, aggiungendo altre scelte da aggiungere: quelle scelte sono cinque attenzioni che potrebbero ridare slancio ad una pastorale che ha ancora molto da offrire, perché il vangelo è la risposta ad ogni desiderio; però, il vangelo non diventa Buona Notizia se non incontra la persona con tutte le sue difficoltà, paure, angosce, sogni!
Buon 2016!

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